L'inaugurazione del Piccolo
Teatro
Con profonda e una volta tanto sincera
commozione inauguriamo stasera, 14
maggio 1947, il Piccolo Teatro della
Città di Milano, il primo ente
comunale di prosa in Italia. E non è
senza uguale emozione che fra poco
ascolteremo dall’orchestra della
Scala, diretta dal maestro Perlea, una
Serenata di Mozart, a significare la
solidarietà del più antico e glorioso
fra gli enti autonomi lirici con
questo Piccolo Teatro che nasce
stasera.
Desideriamo in questa occasione
ringraziare pubblicamente quanti ci
hanno aiutati a realizzare quello che
solo nel gennaio scorso era un sogno,
e cioè, il Comune di Milano anzitutto,
nella persona del sindaco, degli
assessori tutti, dei consiglieri
comunali, dei capi ripartizione, dei
funzionari tutti che hanno collaborato
fraternamente con noi in due mesi di
intenso lavoro. Intendiamo rivolgere
anche un grazie a quei cittadini e
quegli enti, fra cui la Montecatini,
Pirelli, l’Ente Comunale
dell’Assistenza, la Società del
Giardino, la Snia Viscosa, la Face, la
Famiglia Meneghina, l’Università
Popolare e la Camera del Lavoro in
special modo, che hanno avvertito il
nostro appello e che ci sono venuti
incontro con perfetto spirito
d’amicizia.
E un grazie lo dobbiamo pure a voi, a
voi tutti, abbonati alle prime,
avanguardia dei fedeli del Piccolo
Teatro, amici preziosi e vicini alla
nostra fatica, così come lo dobbiamo
ai millecinquecento abbonati che si
avvicenderanno alle repliche dei
nostri spettacoli, a testimonianza di
un bellissimo fervore dimostrato dalla
cittadinanza milanese.
Fra pochi
minuti ascolteremo i primi risultati
della nostra opera; desidero dirvi
solo questo: al di sopra del
cartellone, al di sopra dei lavori
prescelti e della loro realizzazione,
al di sopra dei particolari che
logicamente incontreranno la fertile
discussione, veniteci sempre incontro
in questo diuturno atto d’amore per il
teatro, siateci sempre amici coi
vostri consigli, col vostro plauso e
col vostro appunto, con la vostra
partecipazione, fate che da voi si
diparta in Milano, in questa nostra
meravigliosa città che tutto sa e può
credere, la solidarietà e l’affetto
per questo Piccolo Teatro di tutti gli
spiriti eletti. E un grazie anche,
pubblicamente, alla Fenice di Venezia,
a Orazio Costa, a Luchino Visconti, a
Silvio D’Amico, a Eduardo De Filippo,
a tutti i compagni di lavoro che ci
hanno inviato il loro affettuoso
augurio.
Milano, 14 maggio 1947.
"Dieci anni di teatro in Italia (1969 - 1979)" di Paolo Grassi
[Estratto dal Numero 4 dei 'Quaderni della Fondazione Paolo Grassi' - Schena Editore, 2009]
Il teatro non si sottrae, ed è giusto che sia così, a dimostrazione della sua utilità sociale e della sua vitalità, a vivere i fermenti della propria epoca, a subirne gli uomini. Il teatro è specchio della società, nel buono e nel cattivo, nelle contraddizioni e nelle affermazioni. Per questo io amo il teatro, credo nel teatro, respingo i facili pessimismi che costellano e inflazionano i discorsi sul teatro col vocabolo "crisi". Personalmente sono convinto che l'area magia del teatro (gesto e parola, in apparenza effimeri) abbia una sua reale verità e concretezza e sappia parlare al cuore e alla mente di chi vuole e sa ascoltare. Ci sono quelli che credono che la musica, la poesia, il teatro, siano doni del cielo, cose astratte, belle di una bellezza che non ha niente a che vedere con la vita. E invece sono e saranno, quano di più concreto e vero si possa immaginare.
Da questa premessa, che è di carattere generale ed in cui è facile riconoscere il mio atto d'amore, senza riserve, per il teatro, passo ad un esame particolare della situazione italiana con una doverosa, necessaria avvertenza per il lettore. La mia è una testimonianza personale, dichiaratamente di parte, al limite perfino faziosa; ma mi è estremamente difficile storicizzare un periodo ancora tanto vicino, vissuto sulla pelle, e preferisco dichiarare esplicitamente, per chiarezza, questa mia posizione, anzichè tentare di contrabbandare, come spesso capita, opinioni altrettanto faziose, mascherate di oggettività con il ricorso a qualche dato statistico. [...] Da tanti anni, sulla base delle esperienze maturate e con un senso del reale, si attende in Italia una legge organica, moderna e agile sul teatro. Questa legge non è ancora nata. Progetti ce ne sono, elaborati da più parti, alcuni che tengono conto di una prospettiva ampia e articolata, altri che tendono a codificare l'esistente, altri che, preoccupati di un ribaltamento nei ruoli di potere, propongono soluzioni gattopardesche per evitare che si cambi, di fatto, qualcosa. L'avvento delle Regioni, in Italia, ha poi introdotto un altro elemento giuridico e politico di notevole importanza, connesso con il principio di decentramento. Ma anche qui si è fatta sufficiente confusione tra i ruoli e spesso la bandiera del decentramento è diventato lo scudo dietro il quale celare aspirazioni revanscistiche nei confronti di chi, per creatività e vitalità, aveva più meritato (e che si vedrebbe condannato ad un demagogico appiattimento) o nell'esaltazione di valori che sul piano artistico sono squallidamente provinciali e dilettanteschi.
Indubbiamente questa battaglia falsamente avanzata, sostanzialmente reazionaria, è favorita da un dato che non si può negare: la perdita di smalto dei teatri stabili, il deviazionismo, in diverse direzioni, del ruolo originario.[...] Concordo sull'osservazione, fatta anche da altri, secondo la quale i teatri stabili che tanto avevano dato al teatro italiano, e che tanto - sia detto - continuino a dare, sembrano, a un certo punto, non bastare più. Potremmo dire che sembrano non bastare più perchè hanno realizzato gli scopi per cui sono sorti: il concetto di teatro come pubblico servizio si è affermato, altrettanto ha fatto l'idea del teatro di regia, la base del pubblico è stata allargata fino a comprendere i ceti operai, gli studenti, i giovani.
Ma il bisogno di teatro va al di là delle zone geografiche e sociologiche, che gli otto teatri stabili (Milano, Genova, Torino, Bolzano, Trieste, Catania, Roma, L'Aquila) possono occupare. Una struttura più agile, cooperativa, con altri traguardi organizzativi ed estetici, sempre peraltro su un piano d'impegno e di dignità, appare in grado di soddisfare meglio queste nuove esigenze. Per anni il teatro italiano è stato dilacerato da questa contrapposizione: i teatri stabili da un lato, le formazioni cooperative dall'altro. Nel 1979 possiamo trarre una diversa conclusione da questo esplosivo fenomeno: i due opposti modi di essere in realtà non si oppongono, bensì si integrano. Dallo scontro e dalla discussione ambedue hanno imparato qualcosa, ambedue hanno copiato qualcosa dalll'altro. Oggi i teatri stabili dedicano una gran parte delle loro energie ad un'attività di decentramento, le migliori cooperative per contro ricercano una sede stabile, un più organico legame con un preciso territorio, con un omogeneo tessuto sociologico, con una delle condizioni necessarie al dialogo e alla crescita. Si pensi in proposito al caso teatrale che s'identifica nel nome di Luca Ronconi.
E' bello poi pensare che tra i principali artefici di questo movimento cooperativo ci sia stato proprio Giorgio Strehler, fondatore con me del Piccolo Teatro di Milano, nel 1947, approdato all'esperienza cooperativistica del Teatro Azione e poi, dal '72, tornato a dirigerlo da solo.
Forse, su questo argomento, possiamo già arrischiare un giudizio definitivo, senza dover troppo temere la smentita dei posteri: teatro pubblico e teatro stabile da un lato, compagnie cooperative e formule associative dall'altro, non sono che momenti dialettici di una stessa ricerca per un teatro che risponda sempre, nel mutare delle circostanze, a quei requisiti di impegno, di arte, di presenza civile, di promozione culturale e sociale che la società richiese già nel 1947 e a cui il Piccolo Teatro rispose con la sua nascita. Aggiungo che a questi requisiti si informa lo stesso teatro privato, e che anche la posizione del teatro privato non è più così antitetica a quella del teatro pubblico come gli aggettivi 'pubblico' e 'privato' autorizzerebbero a supporre.