Quaderni della Fondazione Paolo Grassi – Materiali di Teatro
"Quale trasparenza per i soggetti che operano nello spettacolo dal vivo? Suggerimenti e soluzioni per cogliere le opportunità di reputazione, innovazione e miglioramento organizzativo oltre l’adempimento normativo."
A cura di: Maria Scinicariello e Irene Salerno, premessa del Prof. Luciano Hinna
Numero 7 - Anno 2017
Schena Editore
€ 15,00
Dalla premessa del Prof. LUCIANO HINNA [Universitas Mercatorum di Roma]
LA DOMANDA DI FONDO: QUALE TRASPARENZA PER LO SPETTACOLO DAL VIVO?
Perché siamo qui a parlare di trasparenza per gli enti che operano nello spettacolo dal vivo? Questa è la prima domanda che, ormai più di due anni fa, ci siamo posti in sede AGIS all’indomani della determinazione ANAC n.8 del 17 giugno 2015, con la quale gli enti controllati, partecipati e finanziati da amministrazioni pubbliche sono stati inseriti nel perimetro di applicazione delle norme per l’anticorruzione e la trasparenza.
La risposta è semplice e ovviamente non risente delle reazioni a caldo ma consente analisi a freddo e suffragate dall’analisi empirica di situazioni e casi concreti.
Le organizzazioni operanti nel settore dello spettacolo dal vivo, controllate, partecipate e/o finanziate dallo Stato e dagli enti locali, sono state investite con la legge 190/2012 da una serie di obblighi di trasparenza. Inizialmente, l’applicazione era limitata ad alcuni commi dell’art.1 della legge 190/2012, senza distinzione tra società partecipate e società controllate; successivamente, date le criticità attuative e le difficoltà interpretative – ostacolo ad una corretta applicazione delle regole della trasparenza – sono intervenute alcune correzioni che hanno allargato il perimetro di applicazione a tutti quei soggetti che, indipendentemente dalla loro veste giuridica, perseguono finalità di interesse pubblico e/o utilizzano risorse pubbliche. L’ampliamento ha interessato anche l’ambito oggettivo di applicazione, estendendo ai suddetti soggetti gli obblighi di pubblicazione previsti anche nel decreto legislativo 33/2013. Tutto ciò ha determinato, nell’ambito del settore dello spettacolo dal vivo, un’applicazione indifferenziata degli obblighi di trasparenza, dai grandi teatri alle piccole associazioni, con conseguenti difficoltà operative e ricadute gestionali collegate alla dimensione organizzativa, alla governance e alla tipologia di attività. L’ANAC ha agito nella giusta convinzione che la trasparenza è l’anticorpo della corruzione, ma nel contempo ha assunto l’errato presupposto che le innumerevoli e variegate realtà facenti parte del mondo dello spettacolo dal vivo avessero le stesse caratteristiche delle oltre ottomila partecipazioni degli enti locali.
Non è così: le differenze ci sono e sono grandi e numerose. Le amministrazioni non sono tutte uguali ed anche nell’ambito della stessa categoria ci sono “i diversi tra i diversi”: è sufficiente guardare dentro il comparto delle cosiddette partecipazioni – perché gli enti dello spettacolo dal vivo sono assimilati alle partecipazioni degli enti locali – per rendersene conto. Spesso ci sono enti non operativi, a volte hanno un numero di consiglieri superiore a quello dei dipendenti, alcuni sono in perdita strutturale da sempre e quando operano assomigliano a macchine mangia soldi di denaro pubblico, altri sono frequentemente al centro di scandali e processi per corruzione, per appalti truccati, per assunzioni pilotate, per disservizi. Qualche giornalista afferma che esse rappresentano il solito pascolo libero della cattiva politica, degli imprenditori predatori e dei sindacati che hanno tradito il loro nobile mandato sociale difendendo l’indifendibile o facendo finta di non vedere ciò che è era sotto gli occhi di tutti: l’illegalità.
Fortunatamente non tutte le partecipazioni di enti pubblici sono così: non sono molte, ma ne esistono di eccellenti, organismi che creano valore sociale, che danno servizi di prima qualità che il libero mercato non è in grado di offrire e, in aggiunta, così come si diceva una volta, offerti a “prezzi politici” e che incontrano il consenso dell’opinione pubblica. Tra questi enti ci sono, come già detto, anche “i diversi tra i diversi”, ossia quelli che producono cultura, che, ancor prima della trasparenza, costituisce l’anticorpo più forte della illegalità; sono quelli che creano il PIL culturale che sta a monte di quello sociale e che insieme rappresentano il presupposto per creare il PIL economico. Lì dentro ci sono gli enti dello spettacolo dal vivo. Ma se ci si ferma al semplice contenitore giuridico per marcare le differenze si commette un grande errore di progettazione istituzionale: è come assimilare la scimmia all’uomo dal momento che i loro DNA si differenziano solo per il tre per cento, ma è evidente che la differenza è notevole e va ben al di là della possibilità dell’opponenza del pollice alle dita della mano.
La legge, comunque è uguale per tutti, come si legge nelle aule di tribunale, e ciò è vero e giusto nel momento in cui le norme si limitano a dare delle cornici concettuali e dei principi generali; quando entrano nei dettagli – e in materia di trasparenza come vedremo ciò è avvenuto in maniera pressante – sottovalutare le specificità dei diversi destinatari mina la possibilità di perseguire le finalità stesse per le quali le norme sono state emanate. [...]